Piove, ma tanto sarei rimasta a casa a studiare. Stiamo vivendo una situazione paranormale, ma tutto sommato sono serena. Una mia amica dice che sembra un film catastrofico ambientato a New York e invece è Roma. Ho passato la prima settimana in angoscia a leggere numeri e aggiornamenti, poi non riuscivo a dormire e ho detto basta, mi aggiorno di settimana in settimana. Troppe informazioni, numeri su numeri, alla lunga perdi il senso, perdi la scala di grandezza.
Sono state varie cose a farmi chiudere in me stessa. Invece di pensare a quello che mi sto perdendo chiusa in casa ho voluto capire come potessi impiegare in modo positivo questo tempo, così ho iniziato a leggere tutti i libri che mi ero comprata e che, tra lavoro e altre cose, si erano accumulati. Finalmente adesso me li sono studiati. Mi ero comprata un librone di Gursky, tutto in inglese, bellissimo, la sua ultima mostra a Londra, l’ho letto sulla scrivania con il foglio di appunti e mi si è aperto un mondo. Anche Calvino me lo sono riletto, l’avevo già fatto in passato prima di dormire, ma non te lo puoi leggere prima di dormire. Trainspotting di Irvine Welsh, quello sì che va bene prima di chiudere gli occhi.
Ho cibato in questo modo il mio cervello. Era dallo scorso anno, quando ho fatto la mostra sul Cile, che stavo spaparanzata sugli allori, nel senso che avevo concluso un grande capitolo e poi mi ero detta “e adesso?”. Perciò sto leggendo, studiando, cercando di farmi venire qualche altro click in testa.
Prima dell’emergenza anche nella domenica piovosa di Novembre, quando finalmente eri libera dal lavoro, andavi a prendere una birra o vedevi qualcuno. Ora sei costretto a non farlo e, per fortuna, so stare da sola. Da piccola ho odiato stare tanto tempo da sola ma adesso mi è tornato utile.
Inizialmente sei costretto a fare questo esame di coscienza che nessuno vuole fare. Ti ritrovi in camera obbligato a pensare, a un certo punto fai pace con te stesso, con la tua psiche, e vai avanti. Elimini le cose che ti fanno stare in ansia e vivi la bolla. Io mi sto vivendo a pieno la bolla (ho iniziato a chiamarla così, non c’è altra definizione). Tutto sarà diverso da com’era, questa è una bolla di cui forse non ti accorgi, ma di cui ti accorgerai.
Non ho scattato nessuna fotografia, se non una, da camera mia. Un’unica foto alle finestre del palazzo di fronte. C’è una che ha un appendiabiti con la testa e le spalle, con una faccina appiccicata. Ho visto questa cosa che mi sorrideva e il cervello ha fatto click. Una sorta di scheletro affacciato che mi guardava dalla finestra di fronte. Per il resto zero, mi sono accorta che la cosa che mi manca di più è guardare lontano, l’occhio che si sforza di guardare oltre. Infatti dalla ricerca nel mio archivio mi sto orientando sulle vedute da lontano, quello che in questo momento non ho.
Dopo quindici giorni di quarantena sono salita all’ultimo piano, ho guardato il panorama dalle antenne che arrivava fino a Città Giardino e mi si è aperto il cuore. Io sto al terzo piano, non ho grandi vedute panoramiche. Per il resto ho un giardino condominiale su cui si affacciano tutte le case, pieno di alberi e di verde ma certo non mi dá l’effetto del guardare lontano, anche perché a casa stai al telefono, al computer, al televisore o leggi. Perciò quando guardi più in lá senti che l’occhio si sforza perchè non è più abituato. Un po’ come quando parlo di Matematica.
Il discorso che fanno molti sull’essere “più uniti grazie alla quarantena” si poteva fare la prima settimana con la musica alle 18 e gli applausi, erano cose emozionanti e ti sentivi parte di una comunità che adesso si è spenta. Tranne per lo stereo dei miei vicini che continua imperterrito.
Il primo mese ho visto persone che pubblicavano nuovi progetti, parlavano, postavano foto fatte nel tragitto casa-supermercato, foto su google maps, e mi sono chiesta se io fossi davvero una persona creativa. Possibile che se non sono in Cile non produco niente?